DA DENTRO VERSO FUORI

IL POTERE DELL’ASCOLTO INTERIORE

Ho sempre creduto che ascoltarsi fosse semplice, e invece per me non lo è, non lo è stato: ho imparato, piano piano, ad ascoltarmi – ascoltare la mia voce, i miei bisogni, sentire davvero quale fosse la mia necessità, qualcosa che non fosse una spinta che venisse da fuori verso dentro, ma da dentro verso fuori.

Sono sempre stata molto sensibile a ciò che accade all’esterno di me: adesso lo so, è perché sono una Persona Altamente Sensibile (che, ricordiamolo, non significa essere sensibile di cuore, emotiva, ipersensibile: si riferisce in primo luogo alla percezione degli stimoli esterni, che, in secondo luogo, causa una serie di comportamenti che portano all’empatia, all’osservazione dei dettagli, alla visione intuitiva); questo mi ha portata di sovente a sentire moltissimo le aspettative sociali e le urgenze degli altri e, altrettanto di sovente, sentirle come mie necessità, mie aspettative, mie urgenze.

Da quando ho capito di essere PAS, ed allo stesso tempo mi sono concessa di vivere tranquillamente il tratto introverso del mio carattere (senza per questo essere un eremita che viva in una grotta lontana dal mondo, né aver perduto la mia caratteristica di socievolezza), ho iniziato a sentire dentro, a sentirmi. Ho capito quello che mi dicevano durante il Master triennale di Counselling che ho frequentato: tendi ad ascoltare troppo quello che è fuori da te, ma tu, dentro, ancora non ti sai ascoltare. A me sembrava impossibile: certo che mi ascolto!

Invece, non era così. Ascoltarmi davvero ha riportato alla luce la me sensibile e introversa, che ama leggere, stare da sola e sperimentare il contatto con le piante, che scrive, fotografa, si perde in sogni ad occhi aperti. Quella ragazzina che avevo cercato di nascondere, sin dall’adolescenza, perché sentire in profondità era da sfigate. Ed è proprio questo il punto.

CONTATTO CON LE EMOZIONI E ATTIVISMO

Nella nostra società, nell’ambiente in cui viviamo, essere sensibili ed essere a contatto con le proprie emozioni molto spesso è visto come qualcosa da non mostrare, da nascondere. Ed è da questo atteggiamento globale che nascono tutti i: stai esagerando, piangere non serve a nulla, non fare la drammatica, sei troppo sensibile…Sembra quasi che per agire coerentemente nel quotidiano sia necessario, sempre, un punto di vista razionale, che parte dalla testa e che non sia radicato nelle emozioni, nel sentire. Come riporta Brittany Ducham nel suo Emotional alchemy:

Questo, ora lo vedo, è stato l’effetto inequivocabile del crescere in una società patriarcale di coloni bianchi, dove essere emozionalmente competenti ed espressivi è legato alla femminilità e la femminilità è considerata inferiore.

Leggendo questo testo mi sono trovata completamente in accordo con l’autrice: stare in contatto con la propria emotività, e soprattutto agire nel mondo a partire dalla propria sensibilità, permettendosi l’ascolto interiore, è un atto politico. Reclamare i nostri sé che sentono, metterli in relazione con la nostra azione politica e sociale, con quello che facciamo a lavoro, con le persone che amiamo, nel nostro quotidiano significa accrescere il potere personale, integrare ogni nostra parte, vivere in pienezza.

Dobbiamo imparare a prenderci cura del nostro mondo interno, della morbidezza, dell’essere gentili, in risonanza con il tutto. Fare attenzione a non esserne sopraffattə, poi: investire nell’attenzione a sé, oltre che nell’ascolto. Nutrendoci dal punto di vista emozionale, fisico e mentale possiamo aprirci ad una nuova interezza, e portare potere anche nelle nostre pratiche quotidiane, e nell’attivismo.

Seguendo il lavoro di Brittany Ducham, che associa una pianta ad ogni stato emotivo da riportare in equilibrio (rabbia, stagnazione emotiva, gioia, piacere…) utilizzando piante che non fanno parte della mia tradizione herbana, ho seguito il desiderio di cercare nelle piante che conosco e che utilizzo una corrispondenza emotiva ed una utilità fisica e mentale. Vorrei dedicare diversi articoli a questo tipo di argomento, iniziando con la bardana, Arctium lappa.

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MUOVERE LE EMOZIONI NASCOSTE | BARDANA

Le emozioni sono spesso collegate a livello simbolico all’elemento acqua: penso alle carte dei Tarocchi, dove il seme di Coppe, seme acquatico, racconta il mondo emotivo. La profondità del mare spesso è associata alle emozioni e al mondo onirico. Le emozioni sono in larga parte appartenenti a questo mondo, e quindi, come l’acqua, possono ristagnare. Penso a quando ci sentiamo senza energie, oppure bloccatə, in tensione, stressatə: quando le emozioni interne sono appesantite, oppure compresse all’interno: parlo della tristezza ma anche della rabbia, che, se non ben canalizzata, porta ad uno stato emotivo compresso, sospettoso, rancoroso.

La bardana è una pianta fresca, fredda: secondo la medicina tradizionale mediterranea le sue qualità sono freddo/secche. È una delle piante principale per smuovere le tossine dal nostro corpo, in particolare attraverso il fegato e la pelle. Per la sua natura fredda, la bardana è molto utile nei casi di irritazione o infiammazione provocati da un eccesso di calore, quali febbre, tosse secca oppure infiammazioni a livello della pelle. A livello del fegato, bardana incrementa la produzione di bile e quindi l’attività della cistifellea. Se usata insieme a tarassaco (Taraxacum officinalis), grazie alla sua azione diuretica, viene aumentata la capacità depurativa della pianta.

Come ben spiega Alexis in questo post relativo alla bardana, la sua azione è indicata in caso di eccesso di calore: a volte possiamo pensare che la pelle umida, lucida e grassa in generale sia indizio di umidità, mentre non è così: quando la pelle si manifesta grassa insieme a secchezza intestinale (rilevabile attraverso la costipazione, per esempio) è perché tutto ciò che è oleoso viene spinto fuori dal nostro corpo, dando l’effetto di pelle grassa e oleosa. Bardana lavora su entrambi i lati, ammorbidendo a livello intestinale e asciugando la pelle grassa.

Allora possiamo intuire come bardana sia indicata per tutte le persone che tendono a sommergere le loro emozioni, in particolare la rabbia – ma anche le altre emozioni – non dando loro la giusta emersione. Mantenere le emozioni nascoste porta all’esaurimento, al burn-out, al non essere più in contatto con noi stessə. Bardana ci aiuta quando ci sentiamo cariche, pronte ad esplodere, oppure quando, al contrario, ci sembra di non sentire più nulla. Crea un’apertura per le nostre emozioni, che possono riprendere a fluire.

COME USARLA

Puoi preparare bardana in decotto, mescolata con tarassaco: metti una parte di radice di bardana essiccata e una parte di radice di tarassaco essiccata. Fai sobbollire in acqua, coperta, per 6 minuti circa, e poi tieni in infusione altri 15 minuti. Se vuoi un’azione più concentrata, utilizza la tintura di bardana, ə0 gocce tre volte al giorno.

CONTROINDICAZIONI

Meglio non utilizzare bardana in gravidanza e nei primi tre mesi di allattamento. Non va utilizzata se usi insulina o se hai il diabete. Attenzione: le foglie di rabarbaro (Rheum palmatum)  e di aro (Arum italicum o maculatum) possono essere scambiate per quelle di bardana, ma sono tossiche. Prima di raccogliere erbe accertati con una persona esperta.

ASSOCIAZIONE IN FLORITERAPIA

Intuitivamente associo bardana al rimedio floreale Holly, l’agrifoglio, Ilex aquifolium. Holly è indicato in tutti quei casi in cui la persona prova rabbia, rancore sospetto, gelosia ma non riesce a contattare questa emozione dentro di sé, a permettersela e, dunque, a lasciarla emergere. La sensazione che mi dà la persona in stato Holly sbilanciato e simile a quella delle braci che pulsano nel camino: un calore nascosto, che se non riconosciuto può divampare senza controllo, internamente, portando all’esaurimento emotivo. Holly, proprio come bardana, permette di fare luce sulle emozioni nascoste, in particolare sulla rabbia, portando chiarezza e luce e trasformando il rancore in integrazione di ogni parte di sé e della propria storia.

SUMMERTIME SADNESS

Ieri mi è arrivata la newsletter di Asia Suler, che leggo ogni volta con grande interesse, e anche questa volta il suo racconto è andato a toccare qualcosa che mi ha illuminata: summertime sadness, dice lei. Non potrei trovare nome migliore per questa sensazione: sarà che l’estate non è mai stata la mia stagione preferita, che aspetto con impazienza l’autunno, la stufa che scricchiola e il profumo di legna e di bosco, sarà che ho sempre sofferto di insofferenza al mare (e di questo ne ha parlato in modo molto chiaro @sunflowrish nelle sue Stories su Instagram), ma anche io, a volte, soffro di summertime sadness.

Approfondendo ogni giorno il tema sull’Alta Sensibilità, che mi permette di capire meglio me stessa e, anche, di fare il meglio il mio lavoro di educatrice e di artista, mi trovo spesso ad esclamare: se lo avessi saputo prima!

Se lo avessi saputo prima, che non è il mare in sé che mi turba ma che è il troppo caldo, la troppa gente, la troppa luce; se lo avessi saputo prima, che posso permettermi di passare un pomeriggio a scrivere, leggere e sognare anche se fuori c’è il sole, tutto brilla, ci sono mille eventi stimolanti a cui partecipare e allora mi sento in colpa, se resto in casa. Eppure, come spiega benissimo Asia, anche nella stagione più luminosa dell’anno possiamo essere tristi o sognanti. Possiamo preferire il crepuscolo lungo, i tramonti color mandarino, le lucciole notturne alle mattine energetiche, all’essere sempre positivi, con il sorriso, perché è estate!

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In estate poi, di solito, si viaggia o si va in vacanza: e sei hai un tratto Altamente Sensibile sai come può essere faticoso partire. Ecco che questa mia resistenza allo stress da viaggio mi ha valso, da sempre, la definizione di quella a cui non piace viaggiare. Inutile spiegare che non è vero, io amo viaggiare, immergermi in posti nuovi (specialmente se corrispondono alle mie visioni fantastiche, quindi se sono luoghi a Nord), ma ho bisogno di farlo con i miei tempi. Ho bisogno di prepararmi con cura, assicurarmi che i miei animali siano in buone mani mentre sono via, fare un programma dettagliato di quello che vedrò – e poi lasciarmi anche sorprendere dal caso. Concedermi un viaggio lento, non stressante e comodo. Che mi permetta di gustare appieno quello che vivo. Quindi, in sintesi: viaggiare ascoltandomi e rispettando la mia natura di persona introversa (che, ricordiamo tuttə, non vuol dire asociale o timida).

La stessa cosa accade con l’estate: se mi permetto di attraversarla con i miei tempi, se mi permetto di essere anche triste, anche pensierosa, anche stanca nonostante fuori ci sia il sole ed il richiamo alla socialità, ecco, se mi permetto di attraversare anche le ombre di questa stagione allora posso gustarla con pienezza e con cura.

Scrivo tutto questo perché immagino che là fuori ci sia qualcuno che vive l’estate come me. A te voglio dire: non sei sola. Non sei solo. Proprio come viene detto nel film Matilde, tratto dal libro di Roald Dahl:

i libri davano a Matilda un messaggio confortante: tu non sei sola.

Fuori è estate, e io mi rifugio in veranda, con qualche libro da leggere e un tè verde alla cannella. E so, di non essere sola.

IN PUNTA DI PIEDI

Ultimamente mi capita di dormire spesso fuori casa. Uno dei progetti in cui lavoro come educatrice prevede turni di notte, e ci sono alcune cose di queste notti sospese che amo moltissimo. Una è il profumo delle notti in città: da 13 anni vivo in montagna, in mezzo al bosco, ma il profumo delle notti della mia città lo ricordo bene. I suoni, le lucine delle finestre di fronte, la cupola della Madonna che si vede dalla finestra della stanza in cui dormo. Il profumo dei fiori d’arancio dell’albero qui sotto. Ma anche, qualche mattina presto in cui ho trovato la città silente, tra zona rossa e giorni di festa, solo le piante spontanee a parlarmi all’orecchio.

Mi hanno detto che fare questo lavoro a volte è come entrare in punta di piedi nella vita degli altri. Questa frase mi suona in testa da qualche giorno, e credo che questo tema sarà uno dei temi della mia prossima newsletter vocale, perché è esattamente così, ma è anche il contrario: anche l’altra persona entra in punta di piedi nella mia vita.

È vero, quando entro in un nuovo progetto socio-pedagogico entro nella vita di un’altra persona. Perché questo è, soprattutto, un lavoro di relazione: non è possibile farlo se non si accetta di stare in relazione, con quello che c’è, difficoltà incluse. Entri in punta di piedi nelle case degli altri, anche solo metaforicamente. Un laboratorio di teatro o di danza in questo senso può diventare la chiave per osservarti in un altro modo, per tradurre un movimento da un corpo all’altro, integrando le diversità, per esempio. Entro in punta di piedi nelle case dove faccio educative domiciliari, e imparo sguardi, ricami, cassetti, compiti, gomme da cancellare, caffè improvvisi, chiacchiere tra donne, bambine dagli occhi grandi la prima volta che ascoltano Maria Callas o che si innamorano di Helen Keller, attraverso di me ma anche attraverso mia madre, che mi ha portato per la prima volta a teatro a vedere la storia di Anna dei miracoli, oppure attraverso mio nonno, che ascoltava la lirica.




Allo stesso modo, nella mia vita ed in punta di piedi entra la vita dell’altra persona, della relazione che si intreccia: imparo che in romeno albastru deschis significa azzurro, e mi sembra una poesia dirlo, che è possibile parlare di guerra e di potere e di libertà con un ragazzo di tredici anni con grande lucidità; condivido cene e pranzi e chiacchiere quotidiane con persone che imparano a diventare autonome, a vivere da sole, e intravedo in loro una grande libertà, mi insegnano che il quotidiano è prezioso, da conservare e da condividere. Ogni volta imparo un linguaggio diverso, e sto nello scambio con curiosità, aperta alla bellezza. Perché si, c’è bellezza e molta in questo lavoro, anche in queste notti che hanno il profumo di quelle della mia infanzia, quando restavo a dormire dalla mia nonna.

In punta di piedi ci avviciniamo, anche quando i primi incontri sono violenti e difficili. Questo passo leggero, attento, gentile, è necessario per indagare la relazione e per permettere l’ascolto, la scoperta, la sorpresa. Mi accorgo che a volte gli inizi turbolenti servono proprio per proteggere dalla paura dello stare senza fare niente, semplicemente stare anche dove c’è scomodità, perchè ancora non ci si conosce o per paura di rivelare le proprie fragilità. Eppure, non appena accettiamo che la relazione è una continua ricerca, che è viva ed in trasformazione continua, ecco che si creano quei momenti perfetti – proprio come in teatro, quando c’è silenzio nel pubblico e senti che sta accadendo qualcosa di vero, sul palco – in cui stiamo nella relazione, in quello che c’è, momento per momento: il profumo della notte in città, le tabelline dall’1 al 10 quasi a memoria, i capelli sciolti insieme e le confidenze inaspettate, le parole inventate, il sentire che non si è da soli, almeno non adesso.